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martedì 19 marzo 2024

RACCOLTE & PAESAGGI — il Blog di Marco Celati

Marco Celati

MARCO CELATI vive e lavora in Valdera. Ama scrivere e dipingere e si definisce così: “Non sono un poeta, ma solo uno che scrive poesie. Non sono nemmeno uno scrittore, ma solo uno che scrive”.

Lettera con dedica

di Marco Celati - lunedì 15 agosto 2016 ore 16:02

In queste piccole case così piene di noi, piene di vite che si sono smarrite e alla fine così vuote, si condensano e si conducono le nostre esistenze. Qui ti ho amato come un tempo ci amavamo. I giorni che avevamo pensato di restare insieme il più possibile perché non ci prendesse la noia e la solitudine non s'impadronisse di noi. Siamo stati grandi, abbiamo viaggiato, visitato il mondo, siamo stati una coppia che è come essere due in una persona sola. Ti ho amato per la tua giovinezza e per la mia vecchiaia e perché quando ridi sei bellissima. E questo mi ero proposto: di farti ridere sempre, ma così non è stato. La mia anima è grigia e cupa come l'ombra che proietta intorno a sé, intristisce. Alcuni amici si sposano al seguito di lunghe convivenze con lieto corredo di figli. Altri si sono persi. Non ho mai capito a cosa tenda la vita: se è fatta per unire o per separare, se s'indirizza per il bene o per il male. Se la nostra natura volgesse alla felicità e non al disamore, basterebbe assecondarla. Ma chi può dire cosa ci spetta? Non noi. Eppure si capisce che da noi molto dipende, se non proprio tutto. E che, se non fosse per quel poco d'amore, la vita resterebbe una noiosa e faticosa incombenza. Avrei voluto, anzi avrei dovuto dirti troppe cose che non ti ho detto, ma non mi piacciono le frasi strappalacrime. Le dichiarazioni stropicciate in ginocchio con l'anello in mano si vedono solo nei film e sono ridicole, come le lettere d'amore

Ora nelle stanze della casa mi aggiro come un fantasma, insieme ai nostri ricordi e ai fantasmi veri dei cari scomparsi che sorridono nelle foto incorniciate. Più che ricordi sono sensazioni, momenti che riaffiorano, che la memoria ci rende, come il mare fa quando spiaggia le cose, legni, oggetti che restituisce levigati. Così rimangono le impressioni migliori di quel viaggio, di quell'estate, di un inverno in montagna sulla neve, senza l'asprezza dei litigi, degli scontri, delle parole scagliate in faccia ad alta voce. Vuol dire allora che ci volevamo bene, che ci eravamo scelti e questo solo contava. Nella vita poi ci sono torti e ragioni e tu diresti i tuoi torti e le mie ragioni. Ma a tutto si può perdonare perché a niente c'è scampo nel tempo che passa. Così, quando non mi addormento silenzioso sul divano, ripenso a noi. E quando mi guardo allo specchio per farmi la barba, quello che vedo non sembro più io, il ricordo che avevo di me e mi ostino a conservare. Vedo un vecchio rugoso con scarsa dentatura e pieghe sul collo a tartaruga che dagli addominali, in forma grinzosa, lì si è trasferita. Per non parlare del resto. Forse se mi specchiassi con te sarebbe diverso: gonfierei il petto tirando la pancia, drizzerei la schiena e allargherei le spalle atteggiandomi e tu mi diresti: respira. Ma sarei contento: farsi prendere in giro da chi ti vuol bene aiuta sopportarsi o a migliorare. Non abbiamo mai avuto un giardino di rose, nostro e nostro soltanto; avresti coltivato più volentieri un giardino dei semplici: ramerino, basilico, mentuccia profumata ad uso dei tuoi piatti per la "bambina" già ventenne e vegetariana per scelta etica. E io non mi curo di quello che mangio, mi dimentico sempre i complimenti alla cucina, non so fare niente, a niente sono buono: mi basta non cucinare e comprerei le arance già sbucciate se le vendessero. E poi con questa protesi mangiare è diventata una tortura, ma sono io la tortura più efferata. Forse non siamo ciò che mangiamo, siamo come mangiamo. Le rare volte che ti ho portato qualche rosa, imbellettata dal fioraio, la mettevi in un vaso a seccare. Le rose, come gli amori, appassiscono presto. E così forse noi. Ma questa in fondo è una lettera non scritta o non indirizzata. Il matrimonio, si dice agli sposi, più o meno novelli, è un atto pubblico che suggella un fatto privato e così anche questa è una dedica. Ma questa dedica è scritta affinché altri la leggano: sono parole private che io ti dedico in pubblico. Ciao 

Marco Celati

Firenze, Giardino delle rose, 25 giugno 2016 

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Che tutte le lettere d'amore sono ridicole lo sosteneva Fernando Pessoa e, anzi, aggiungeva che non sarebbero lettere d'amore se non fossero ridicole. Siamo ciò che mangiamo lo pensava Ludwig Feuerbach. Il verso finale è da "Una dedica a mia moglie", una poesia di Thomas Stearns Eliot. La foto è dal Giardino delle Rose a Firenze

Marco Celati

Articoli dal Blog “Raccolte & Paesaggi” di Marco Celati

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