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domenica 03 agosto 2025

LE PREGIATE PENNE — il Blog di Pierantonio Pardi

Pierantonio Pardi

Pierantonio Pardi ha insegnato letteratura italiana all’ITAS “ Santoni” di Pisa fino alla pensione. Il suo esordio narrativo è stato nel 1975 con il romanzo "Testimone il vino" , ristampato nel 2023 sempre dalla Felici Editore, nel 1983 esce "Bailamme" (ristampato nel 2022 con Porto Seguro editore). Negli anni seguenti ha pubblicato come coautore “Le vie del meraviglioso” (Loescher,1966), “Il filo d’Arianna (ETS, 1999) e da solo “Cicli e tricicli” (ETS 2002), “Graaande …prof (ETS, 2005) e “Il baffo e la bestia” (ETS 2021), "Erotiche alchimie" (ETS,2024) e "La disgrazia di chiamarsi Lulù" (Felici Editore, 2024). Ha curato l’antologia “Cento di questi sogni” (MdS, 2016) ed è direttore editoriale della collana di narrativa “Incipit” (ETS)

​Le radici dell’elleboro.

di Pierantonio Pardi - domenica 03 agosto 2025 ore 08:00

E’ ormai una mia inveterata abitudine, quando vado a presentare un romanzo, partire dall’analisi del paratesto (titolo, immagine di copertina, seconda e quarta di copertina).

Ecco, quindi, in breve, il plot del romanzo, dalla seconda di copertina:
Un piccolo borgo di montagna, un luogo che custodisce storie e segreti. Due donne, due vite lontane settant’anni. Due storie così diverse, eppure unite da un legame invisibile che affiora lentamente, pagina dopo pagina. Una bambina cammina scalza nei boschi. Porta con sé una promessa, un legame che nessuno potrà spezzare. Una giovane donna arriva a Basati senza sapere cosa sta per travolgerla. Crede di essere solo di passaggio, ma presto si accorge che quel luogo ha molto più da raccontare di quanto immaginasse. Qualcosa la lega a quelle strade, a quei volti, a un passato che non conosce ma che la sta aspettando. Cosa accade quando si scavano le proprie radici per cercare una verità che, alle volte, non è quella a cui siamo preparati? L’autrice intreccia magistralmente passato e presente, costruendo un romanzo che cattura e appassiona. La sua scrittura intensa accompagna il lettore in una storia di legami profondi, di scelte difficili e di verità pronte a riemergere. Per trovare il proprio posto nel mondo, bisogna prima capire da dove si viene. E non sempre le risposte sono quelle che vorremmo.
Passando, adesso al titolo, “Le radici dell’ elleboro”, ho trovato varie e misteriose “corrispondenze” tra questo titolo e la trama.
Non essendo esperto in botanica, mi sono informato su questa pianta, l’ elleboro, e ho fatto delle scoperte significative: l’elleboro è noto anche come “pianta delle streghe” utilizzata per le loro pozioni e per riti magici (e in questa storia di streghe, anche se travestite da madri, ce ne sono almeno due); però l’elleboro è noto anche come “rosa di Natale” con diversi significati simbolici e rappresenta il coraggio e la determinazione nel superare momenti difficili, è associato alla rinascita e alla speranza (elementi questi che saranno il corredo esistenziale di Camilla, la protagonista, alla ricerca delle sue radici che si riveleranno ricche di sorprese e di colpi di scena drammatici) . Infine l’elleboro non ha petali nel senso tradizionale del termine, ma delle foglie modificate chiamate tepali; cinque tepali che circondano i veri fiori (e, guarda caso, sono proprio cinque i personaggi chiave che ruotano intorno a Camilla, determinando le sue azioni; in narratologia, secondo Greimas, sarebbero gli “attanti ” che svolgono un ruolo all’interno di una narrazione.)
Ma su questo, tornerò in seguito.
L’immagine di copertina, invece, la trovo piuttosto banale e referenziale.
Entriamo adesso nella trama del romanzo e nei suoi due intrecci; due sono infatti le storie che procedono in parallelo, una che si svolge negli anni ’40 (narrata in terza persona) l’altra negli anni ‘2000 (narrata in prima persona).
Camilla, d’ora in poi Milla, perché a lei quel nome da “merendina” non va proprio giù, insegnante elementare, si trasferisce da Firenze a Basati, frazione del Comune di Seravezza, in alta Versilia, situato alle pendici del monte Cavallo, con l’intento di scoprire chi è suo padre e, una volta scoperto, cercare di trovare elementi per incriminarlo; questa è la missione che le ha imposto sua madre Emilia, per vendicarsi di lui che, a suo dire, l’aveva abbandonata quando era rimasta in cinta di Milla. Milla scoprirà da Lina, la perpetua di Don Paolo, nella chiesa di Seravezza, che suo padre, soprannominato Adone per la bellezza, in realtà si chiama Corrado Benassi e fa l’assessore ai lavori pubblici a Seravezza.
Milla lo incontrerà e scoprirà però un’altra e ben diversa realtà che non vi racconterò. Ma lui, il padre, è uno dei cinque personaggi citati prima. Quello che emerge fin da subito, però è il rapporto con la madre, una donna narcisista, anaffettiva, cinica, come risulta da questo frammento:
Quando sono in camera mia penso di nuovo al discorso fatto da Filù. Mi immagino mia madre da ragazza: bellissima, ma presuntuosa e sciocca; convinta che tutto le fosse dovuto, che il mondo girasse attorno a lei. (…) Può dire quello che vuole Filù, ma mia madre un cuore non ce l’ha.

Emilia, quindi, il secondo dei cinque personaggi e poi Filù,(terzo personaggio) l’anziana donna che ospita Milla, proprietaria di un gatto che, malato, sarà portato da Milla dal veterinario, Jacopo (quarto personaggio) e qui c’è da dire, ma sarò ellittico: galeotto fu il gatto …
Poi c’è l’altra storia, quella di Clelia e dei suoi figli, Rosa (quarto personaggio) , Irma, Nena, Oliviero, Vittorio, Luigi. L’anno è il 1945. Costretta dalla miseria, Clelia porta due sue figlie (Irma e Nena) all’orfanotrofio, dalle suore. Clelia è una madre che ha occhi solo per i figli maschi, considera Rosa solo un intralcio. Quando Rosa le dice che, per cercare di guadagnare qualcosa, vorrebbe andare a imparare a cucire, ecco la reazione violenta della madre (in questo caso, viene usato il dialetto):

- Mà – chiama, - sai, m’è venuta in mente una cosa.

La madre alza la testa dai cenci che sta rammendando

- Ti ricordi che disse la zia Lia? Che potevo anda’ da lei a impara’ a cugì …

- Ci riè ‘sto discorso, Ro’? – si altera.

- Ma mamma, - insiste Rosa, - potrei guadagna’ di più e te un m’avresti più tra i piedi.

- Rosa, falla finita! – urla – Te un c’andrai mai a cug’! M’hai capito?

- Sì, mà.

- - i tu’ fratelli si spacchino la schiena a le cave e te pensi di pote’ fa’ la signora? Chi ti credi d’esse? Che di fa pensa’ d’ave’ il diritto di fa’ la bella vita, eh? Se voi la pancia piena, c’hai da lavora’ come noialtri, un ti vo’ più senti’ nomina’ il cugi’. Mai più.

- Sì,mà.

- E ora fila a letto, un vo’ rivede’ il tu’ muso a domani.

Una madre – strega, insomma.

Rosa ricorda vagamente le bambine raccontate da Zola in due dei suoi romanzi: la piccola Anna Coupeau ne “L’ Assomoir” vittima della negligenza dei genitori che la lasceranno morire di fame e di freddo e la Nana del romanzo omonimo, cresciuta in un ambiente di degrado e di prostituzione, condannata a un destino deterministicamente segnato.

Ma, tornando al romanzo, qual è il fil rouge che collega queste due storie?

Rosa è la sorella di Filù (la Nena, lasciata dalla madre nell’orfanotrofio) ed è la madre di Emilia, madre, a sua volta di Milla.

Ma, in questa storia niente è come sembra e, d’ora in poi, è come se camminassi in un campo minato e devo quindi stare attento a non rivelare troppi indizi.

Alla fine, però, ci sarà l’incontro drammatico tra Corrado, Emilia e Milla che ha deciso di non tradire il padre, provocando così la reazione furiosa di Emilia che, quando Corrado le dice che dovrebbe essere felice di avere avuto Camilla, esplode così:

“Ho passato i migliori anni della mia giovinezza a tirare su da sola una bimbetta poco sveglia, ho rinunciato ai divertimenti, ai viaggi, a un uomo che mi amasse. Avevo sempre questa tra i piedi, come facevo a trovare l’amore della mia vita? (…) Ho passato una vita di merda e la colpa è solo sua. Lei non era in programma e non doveva esistere”

Un’ altra madre strega, quindi. Poi … sarà veramente la madre?

Alessandra Pozzi, con una scrittura piana e discorsiva, un lessico che utilizza anche variazioni dialettali, un ritmo lento che ricorda un po’ i grandi romanzi della tradizione naturalistica francese nella descrizione della vita quotidiana, della miseria, delle meschinità e dei sotterfugi di certi personaggi, inserendo però, allo stesso tempo, personaggi antitetici portatori di grande umanità e bontà , ci offre un suggestivo repertorio di varia umanità.

Milla che, alla ricerca delle sue radici, scopre la sua identità, anche grazie a Filù, capisce gli inganni di una madre narcisista, riscopre un padre (che poi padre non è), ma soprattutto trova l’amore in Jacopo (quinto personaggio).

E Rosa, una donna che ha subito le angherie di una madre aguzzina, i capricci e le violenze di un marito violento e ubriaco, che, con la sua bontà è riuscita a donare amore a tutti in una sorta di martirio laico.

Due donne, quindi, dai destini diversi che si incrociano, anche se poi niente è appunto come sembra…

Sono rimasto volutamente sul vago perché non voglio privare il lettore delle infinite sorprese che questo romanzo offre pagina dopo pagina, come quelle novelle d’un tempo che si raccontavano davanti al fuoco di un camino e duravano ore finché la fiamma lentamente si spegneva e fuori, nella campagna, si iniziava a sentire il canto del gallo.

Pierantonio Pardi

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