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Altri mercoledì 18 gennaio 2017 ore 12:05

Il gigantesco squalo divoratore di balene

Ricostruzione artistica di un adulto di Carcharocles megalodon che preda una Piscobalaena nana. Illustrazione di Alberto Gennari.

Il Megalodon, ormai estinto, poteva superare i 16 metri di lunghezza. I paleontologi dell'università di Pisa hanno scoperto di cosa si nutriva



PISA — È considerato uno dei più grandi predatori mai esistiti sulla faccia della Terra, con esemplari che potevano superare anche i sedici metri di lunghezza e  le sue enormi fauci potevano mordere con una forza dieci volte maggiore rispetto a quella dello squalo bianco. È il Carcharocles megalodon, un gigantesco squalo estinto che ha ispirato celeberrimi mostri marini del mondo del cinema, come il terrificante protagonista de “Lo Squalo” di Steven Spielberg.

Questo terribile killer del passato è stato identificato dai paleontologi grazie ai suoi resti fossili (principalmente denti e vertebre dalle dimensioni strabilianti ritrovati all’interno di sedimenti marini depositatisi tra 20 e 3 milioni di anni fa circa), ed è ormai ben noto al grande pubblico come uno spietato cacciatore delle balene degli antichi mari. Tuttavia, al netto delle speculazioni, fino ad ora le testimonianze fossili non offrivano molti dati oggettivi circa le abitudini alimentari di questo animale dalla fama leggendaria. Ma una recente ricerca coordinata dai paleontologi dell’Università di Pisa potrebbe gettare un po' di luce sulle abitudini del Megalodon.

Da oltre dieci anni l’Università di Pisa, in collaborazione con quelle di Camerino e Milano-Bicocca e con diverse istituzioni peruviane ed europee, conduce ricerche nel deserto costiero del Perù meridionale: una delle aree più ricche al mondo di fossili di cetacei, squali, uccelli e rettili marini. Gli scheletri di questi vertebrati affiorano dalla sabbia del deserto eccezionalmente conservati e spesso ancora perfettamente articolati. I sedimenti che li racchiudono si sono depositati nel corso di milioni di anni su un antico fondale marino, poi emerso a seguito degli intensi movimenti della crosta terrestre che interessano il versante occidentale della catena Andina.

“Uno dei nostri obiettivi - afferma Giovanni Bianucci, professore di paleontologia al dipartimento di Scienze della Terra dell'università di Pisa e coordinatore delle ricerche in Perù - è quello di ricostruire, grazie allo studio dei fossili, l’intera fauna che visse in questi mari. Tuttavia non vogliamo limitarci a dare un nome agli animali ma, sopratutto, capire come interagivano tra loro, di cosa si nutrivano e come si sono evoluti nel corso dei milioni di anni”.

In questo tipo di studi, non sono sempre i reperti fossili più completi e spettacolari a fornire i dati più interessanti e inaspettati, ed è infatti su alcune ossa frammentarie, risalenti a circa 7 milioni di anni fa, che i ricercatori pisani e i loro colleghi hanno scoperto le lunghe incisioni lasciate dal morso di un grande squalo.

 “L’approfondita analisi e lo studio di queste tracce - spiega Alberto Collareta, dottorando al dipartimento di Scienze della Terra di Pisa e responsabile dello studio pubblicato nella rivista internazionale Palaeogeography, Palaeoclimatology, Palaeoecology - hanno permesso di identificare sia gli animali morsicati che il responsabile del morso. I primi sono  foche e cetacei (fra cui la Piscobalaena nana, una balena di piccola taglia appartenente alla famiglia oggi estinta dei Cetotheriidae), mentre il loro predatore è il Megalodon, i cui denti sono gli unici che, per forma e dimensioni, possono aver prodotto le tracce osservate.

Per la prima volta gli scienziati hanno potuto dare un nome specifico a uno degli 'ingredienti' della dieta del Megalodon. Secondo gli studiosi, l’estinzione di queste balene di piccole dimensioni, avvenuta intorno ai 3 milioni di anni fa, potrebbe aver privato il grande predatore delle sue prede favorite, contribuendo alla sua estinzione. 

“Il nostro studio - conclude Bianucci - non solo contribuisce a conoscere la biologia del più grande squalo mai esistito, ma anche a chiarire le dinamiche evolutive che hanno portato ai grandi cambiamenti nella fauna marina, spesso legati al rompersi di delicati equilibri tra prede e predatori”.


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