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Altri giovedì 24 marzo 2016 ore 15:00

Camilla da grande scriverà libri di fantasia

Camilla Ciurli

La vincitrice del concorso letterario sulla figura di Pietro Leopoldo vuole fare la scrittrice, soprattutto nel genere fantasy. Il suo testo



CASCIANA TERME LARI — Camilla Ciurli è nata nel 1999, secondogenita di mamma Silvia e papà Maurizio, e risiede da sempre a Casciana Terme.

E' una bellissima ragazza, un po' timida, frequenta il terzo anno del liceo linguistico Montale a Pontedera, ama molto studiare e conoscere le lingue straniere, ma il suo sogno è quello di diventare una scrittrice.

Legge moltissimo, soprattutto libri di fantasia e di avventura, ottiene ottimi profitti a scuola, e per il momento ha sospeso il suo hobby, quello della danza classica, che conta però di riprendere al più presto possibile.

Anacronismi del Settecento" è il titolo del suo breve elaborato premiato al concorso letterario indetto dal Comune sulla figura di Pietro Leopoldo e rivolto a giovani tra i 16 e i 25 anni.

“L’ho scritto – ha detto Camilla – ispirandomi al libro "Red" di Kerstin Gier". Un racconto di fantasia, quello di Camilla, in cui la protagonista si sveglia nel 1786 con il difficilissimo compito di aiutare il Granduca Leopoldo ad abolire la pena di morte.

E’ lei, Camilla, nelle vesti di Elena, che vive nel 2016, ad essere catapultata indietro nel tempo per più di due secoli, e a dover convincere i consiglieri del granduca ad approvare il decreto.

Ce la farà, attraverso l’aiuto di Daniele, il ragazzo che nel sogno le ha salvato la vita, e il granduca stesso, e, assolto il suo compito, tornerà “nel suo letto” da dove è iniziato il suo viaggio nel passato, e dove si accorgerà che …”non era passato neanche un minuto da quando se ne era andata”.

“Non mi aspettavo di vincere il premio – ha confessato la giovane – è stata una sorpresa davvero gradita”

Con parte dei soldi vinti Camilla ha comprato un libro a mamma e babbo e tre testi che desiderava comprarsi da tempo, il resto lo tiene ancora a disposizione.

Di seguito il racconto di Camilla.

Anacronismi nel Settecento

Sentii un vuoto allo stomaco e per un attimo non vidi più nulla; quando la vista mi si schiarì di nuovo, mi trovai in mezzo a una grande strada, circondata da carrozze e cavalli: sembrava di essere finiti nel Settecento.

Mi guardai intorno, e iniziai a camminare, cercando di capire dove mi trovassi; dopo qualche svolta alla cieca, arrivai ad un ponte, e mi sembrò di riconoscere Ponte Vecchio, e continuando a camminare ancora per un po’ riconobbi altri palazzi e strade di Firenze. Ma non era la Firenze di tutti i giorni. Qualcosa era cambiato.

Presa com’ero dai miei pensieri, non mi accorsi della carrozza che arrivava a gran velocità sulla strada, e mi salvai solo grazie ad un ragazzo che mi tirò fuori dal suo tragitto. Lo ringraziai immensamente ma appena vide i miei vestiti cambiò completamente espressione, come se avesse appena incontrato un alieno, e io mi arrabbiai con lui.

«Ma che cosa avete tutti da guardare? Sembra che non abbiate mai visto un paio di jeans!».

«Un paio di cosa?» mi rispose lui, sempre più attonito.

All’improvviso la sua faccia cambiò espressione, come se fosse finalmente arrivato ad una scoperta sorprendente.

«Vieni con me. Veloce» mi disse un attimo dopo «E cerca di non attirare troppo l’attenzione. Qualcun altro potrebbe sapere.»

«Ma di che stai parlando? Chi dovrebbe sapere cosa? E poi io non ci vengo con te, nemmeno ti conosco! E ad essere sinceri mi sembri anche mezzo matto.»

«Credimi, lo faccio per il tuo bene. Se le persone sbagliate venissero a sapere che sei un Anacronismo, per te potrebbe finire molto male.»

«Un Anacronismo? Che vorrebbe dire?»

«Un anacronismo è un errore cronologico...»

«So cos’è un anacronismo! Voglio dire... che vuol dire che io sono un Anacronismo?»

«Sei arrivata dal futuro. Non è così?»

«Che vorresti dire? Non siamo nel 2016?»

«No. Questo è il 1786. Comunque io sono Daniele» mi rispose lui.

«Elena, piacere.»

Mentre stavamo parlando, Daniele aveva iniziato a guidarmi per un dedalo di viuzze secondarie, ed eravamo arrivati ad una casa dalla facciata anonima.

«Quelli come te, gli Anacronismi, sono in grado di viaggiare indietro nel tempo, e di solito quando saltano lo fanno perché devono cambiare qualcosa, o aiutare l’avvenimento di qualcosa.»

«Ma riuscirò a tornare indietro, giusto?»

«Certo, ma non si può controllare. Il viaggio può durare solo qualche ora o diversi giorni. Probabilmente non potrai tornare indietro fino a che non risolverai il problema.»

«Ma come faccio a risolvere qualcosa se non so cosa? E come potrò riuscirci?»

«Tu sei un Anacronismo, ci riuscirai. E comunque avrai tutto l’aiuto e l’appoggio che ti serve dal Granduca Leopoldo.»

«E come faccio ad arrivare al Granduca, come farò ad incontrarlo?»

«Ti ci porto io. Ma prima lascia che ti prenda un mantello per poter coprire i vestiti.»

Dopo qualche minuto di camminata, arrivammo a quello che mi sembrò di riconoscere come Palazzo Pitti, e Daniele si avvicinò ad una guardia. Dopo qualche scambio appena sussurrato, mi fece segno che potevamo entrare. Mi condusse con sicurezza in un labirinto di corridoi, scale e stanze, e alla fine arrivammo di fronte ad una grande porta sorvegliata da due guardie.

«Abbiamo urgenza di vedere il Granduca. Gli riferisca che Daniele ha qualcosa di interessante da mostrargli.»

Quando fummo davanti al Granduca, Daniele fece una piccola riverenza, e io lo imitai.

«Lasciateci un momento» disse Leopoldo rivolto alle persone che erano nella sala. Uno ad uno uscirono tutti e rimanemmo solo io e Daniele.

«È una di loro?» chiese il Granduca appena fummo soli.

«Si, si chiama Elena, è arrivata questa mattina; vedendo come era vestita ho pensato fosse meglio portarla subito in un luogo sicuro» rispose Daniele.

«Bene, ottimo lavoro. Se i nemici sapessero che ce n’è una che gira indisturbata per Firenze non perderebbero tempo a cercare di catturarla» e poi rivolgendosi a me: «Hai già viaggiato prima d’ora?»

«No mai, questa è la prima volta che mi succede.»

«Le ho già detto quello che c’è da sapere, dobbiamo solo scoprire perché è qui.»

«Non ci sono guerre in corso, quindi non è qui per darci una mano nelle battaglie.»

«A dire la verità una guerra ci sarebbe, anche se solo metaforica.» disse Daniele, scambiando uno sguardo d’intesa con il Granduca.

«Mi stai dicendo che potrebbe essere qui per quello?»

«Potreste non parlare come se io non fossi qui? Vorrei sapere anche io di cosa state parlando, dal momento che sono quella che dovrebbe aiutarvi.»

«Scusaci. Forse sei qui per aiutarci nell’abolire la pena di morte. È già da un po’ di tempo che cerco di convincere i miei consiglieri che è la cosa giusta da fare, ma ci sono ancora molte persone che non sono d’accordo. Tu potresti rappresentare la svolta.»

«Io? E come posso fare a convincere dei consiglieri che abolire la pena capitale sia la cosa giusta?»

«Tu pensi che lo sia?»

«Certo! Ma non vedo come possa…»

«Se credi abbastanza in qualcosa, riuscirai a convincere anche gli altri» mi interruppe il Granduca.

«Non per contraddirla, ma non sembra che con lei abbia funzionato.»

«Hai ragione, ma io non posso sbilanciarmi troppo. Con te è diverso. Tu potrai convincerli veramente.»

Accettai, anche se non ero ancora convinta, e Leopoldo decise che quella stessa sera ci sarebbe stato un banchetto, a cui avrebbero partecipato tutti i consiglieri.

Tornammo a casa di Daniele giusto il tempo perché mi mettessi un grosso abito tutto balze, e poi tornammo al Palazzo per il banchetto.

La grande sala era gremita di invitati; mi feci coraggio e avanzai nella stanza, sempre accompagnata da Daniele. Dopo esserci presentati di fronte al Granduca, iniziammo a fare un giro della sala per un’ispezione; quando mi sentii pronta ad iniziare, indicai un ometto che mi sembrava simpatico e chiesi a Daniele se lui fosse da convincere. Al suo segno affermativo, mi avvicinai, mi presentai e iniziai la mia opera di convinzione.

«Che cosa ne pensa dell’idea del Granduca di abolire la pena di morte?»

«Non saprei signorina. Non sono completamente contrario, ma non vedo che profitti possa portare al Granducato. Se smettiamo di uccidere i criminali che si sono macchiati delle colpe più gravi, che segnale daremmo ai cittadini? Altri criminali inizieranno a fare la stessa cosa, sapendo che ciò che li aspetta non è più la morte,»

«Ha perfettamente ragione, ma non pensa che rinchiuderli in prigione per il resto della loro vita sia più che sufficiente?»

«Potrebbe anche avere ragione su un piano teorico, ma resta il fatto che questo potrebbe dare un cattivo segnale al popolo.»

«Su questo non sono d’accordo. Secondo me il popolo vedrebbe in questa decisione un addolcimento del governo e sarebbe più grato. Ci rifletta.».

Lo lasciai con quella domanda e passai ad un altro invitato.

Con tutti usai lo stesso metodo: chiesi loro qual era la loro idea in merito e cercai di farli riflettere sul fatto che abolire la pena di morte poteva davvero rappresentare un vantaggio. Alla fine della serata ero stanca morta, ma ero riuscita a far riflettere decine di menti chiuse di fine Settecento, e mi ritenni piuttosto soddisfatta.

Tornai a casa con Daniele, mi sfilai quell’enorme vestito e mi misi a dormire.

La mattina seguente fui svegliata da Daniele che mi chiamava concitato

«Elena svegliati presto! Il Granduca ha chiesto di noi.»

Uscii ancora assonnata, ma l’aria fredda del mattino mi svegliò, e quando arrivammo dal Granduca ero completamente sveglia.

«Complimenti Elena, sembra che il nostro piano abbia funzionato. Certo l’abolizione non è ancora stata approvata, ma molti consiglieri hanno cambiato idea e ci stiamo avvicinando velocemente all’obiettivo! Devo davvero ringraziarti, probabilmente senza il tuo aiuto ci sarebbe voluto molto di più, e magari non ce l’avremmo fatta.»

«È a questo che servono quelli come me, no?»

Mentre dicevo questo, sentii un vuoto allo stomaco e capii che era arrivato il momento di tornare indietro, al presente.

«Credo di stare per tornare indietro, quindi credo di dovervi salutare. Grazie per avermi fatto scoprire questo lato della mia vita così importante e sono davvero contenta di essere stata util...»

Non feci in tempo a finire il mio discorso. Per un attimo non vidi più nulla, e quando tornai ad aprire gli occhi, mi ritrovai sul mio letto, da dove ero partita. Guardai l’orologio, ma non mi sorprese vedere che non era passato nemmeno un minuto da quando me ne ero andata.

Camilla Ciurli

Marcella Bitozzi
© Riproduzione riservata


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